Quarta di copertina di Matteo Frasca
Nella breve raccolta di racconti e
poesie convivono figure di stampo shakesperiano, fredde donne manager odiate
dalle loro dipendenti, mamme costrette a perdere i loro figli, figlie a loro
volta che sanno incontrare in spazi insoliti le loro madri, mogli che tengono
fissi i loro occhi fino all’ultimo sul loro amore di sempre, ragazze che si
risvegliano dal coma e continuano
ad inseguire i loro sogni, poetesse che cercano angoli di mondo per liberarsi
di tutte i loro versi, inquiline di case distrutte dal terremoto, infermiere
che incontrano incredule una cieca
e attempata divinità che gioca con i destini degli uomini. E altre
ancora.
Madri,
mogli, figlie, amanti, donne che coltivano la loro inquietudine – sentimento
non necessariamente negativo – per
imparare ad amare come possono, in ogni circostanza.
Con quello straordinario dolore e
quella pietas femminile che ad ogni
sguardo, ad ogni ritratto raccontato dall’autrice – che sia prosa o lirica –
mostra ai lettori uno specchio umano e variegato su cui interrogarsi, senza
alcuna presunzione di avere certezze, né risposte consolatorie.
Prefazione
“L’immagine rispecchia il sacro come un’eco
rimanda il suono al luogo d’origine.”1
Novembre 1974. Mi apprestavo a compiere il
quinto lustro e la vita mi stava scivolando addosso senza lasciare traccia. Ci
accomunava una certa parentela con gli sposi e il fatto che eravamo diversi: io
maschio, lei femmina. La guardavo per scoprire qualcosa che mi potesse
arpionare a lei e con lei, alla vita. Al tavolo che ci ospitava per il pranzo,
lei era seduta quasi di fronte a me e parlava con i ragazzi che le erano seduti
accanto. Io la osservavo e ascoltavo senza intervenire, ma il fatto che
parlasse con loro un po’ m’infastidiva; non la volevo condividere con gli altri;
desideravo l’esclusiva. Era carina, più giovane di me, un’adolescente in una
delle sue prime uscite sociali. Mi affascinava il suo modo di tenere a bada
quei ragazzi: annullava con arte e con garbo, qualsiasi tentativo di
sorprenderla. Evidentemente non gradiva la loro compagnia ed io lo percepivo.
Volevo stare con lei; magari con una scusa trovarci soli e parlare di noi tra
noi, senza sguardi indiscreti. L’occasione si presentò e ci trovammo fuori in
giardino da soli. Lei parlava, io ascoltavo e di tanto in tanto interloquivo
con monosillabi di consenso e di sostegno alle sue perifrasi esistenziali. Mi
parlava di lei, delle sue sofferenze, dei suoi rapporti con i genitori, del suo
sentirsi oppressa, prigioniera, relegata in ruoli che non gradiva; del suo
rapporto difficile con il padre, con la scuola e con il lavoro; del suo non
sentirsi libera. Era bellissima, più parlava e più mi piaceva. Una ribelle come
me. Con una scusa trovai il coraggio di prenderle le mani e tenerle tra le mie.
Le toccavo, le accarezzavo; lei se le lasciava trastullare. Sentivo che muoveva
docilmente le sue dita chiuse nella mia mano; sentivo il suo abbandono, il suo
lasciarsi guidare in quei movimenti docili e minimi delle dita. Si era
avvicinata con il suo corpo al mio; la sentivo senza toccarla; i nostri corpi
quasi respiravano insieme. Non ne ero ancora consapevole, ma accanto a me c’era
la donna della mia vita.
Quella stessa donna che nel novembre del
1974, in un giardino di un ristorante romano, teneva le sue mani nelle mie, mi
ha chiesto ora di scrivere la prefazione del suo primo libro. Mi sono sentito
importante e, per qualche giorno mi sono crogiolato in un intimo e sottile
piacere di vanità che ha orientato i miei tentativi di approccio verso
improbabili e assurde elucubrazioni letterarie. Poi sono tornato alla realtà di
un libro scritto con amore e che parla d’amore in tutte le forme in cui si è
presentato a una donna del nostro tempo.
«Il romanzo è il luogo della più profonda
verità esistenziale e sociale del XIX secolo»[1].
La tensione di Eva non è proprio un
romanzo, cui Renè Girard si riferisce
per rilevare l’approccio interpretativo basato sul realismo ermeneutico, ma è una raccolta di racconti e poesie estemporanee
che indicano il cammino di donna dell’autrice; un cammino visto come “il romanzo” dell’asserzione girardiana.
Dall’intimo conflitto esistenziale di una ragazza piena di femminilità, che il
padre in cuor suo desiderava fosse maschio (“ah se tua sorella fosse nata maschio, allora
sì…”Prima che Lady Macbeth), alla riconciliazione affettiva,
amorevole e filiale di una donna matura con lo stesso padre, uomo ormai
vecchio, rugoso e sorridente (vola il
pensiero mio / alla speranza di guardarti per molto tempo ancora -
Ti guardo ora).
Un cammino in
cui il sogno e la realtà sono espressi in un’unica unità narrativa. Una narrazione che riflette il vissuto sentimentale
ed emozionale dell’autrice. Sogno e realtà dunque, come unica verità, agita e
mediata da una donna che non vuole rinunciare alla sua natura femminile
nonostante i tempi e le situazioni le chiedano il contrario. Una femminilità
preziosa, che sola può condurla a quella “maternità” che pervade e risplende
nei componimenti La carezza nell’anima ed
Eri mio figlio, e a quell’unicum
coniugale che traspare dal racconto-monologo La valigia.
In
questa raccolta l’autrice ha scelto e riunito i suoi componimenti, scritti in
tempi e situazioni diverse, (dalla conduzione della casa e della famiglia,
all’educazione dei figli, dalla condivisione coniugale, al lavoro
professionale, fino alla sua rilevante e personale esperienza teatrale e
cinematografica, ecc.). Il risultato è un insieme organico che rappresenta il
suo romanzo ovvero la sintesi
emozionale di fatti e accadimenti che hanno forgiato la sua personalità.
Lo
stile seguito è libero da qualsiasi classificazione e catalogazione; una sorta
di diario poetico e narrativo in cui l’esperienza teatrale dell’autrice
riaffiora nelle fervide immaginazioni sceniche e nelle trame. Racconti e poesie
rese in una sequenza ordinata, non sempre secondo la cronologia in cui sono state
scritte, ma secondo i richiami emozionali della sua memoria affettiva; un ordine che segue comunque un filo logico che
lega i singoli componimenti e che culmina nell’ultima e dolcissima poesia Ti guardo ora.
La
lettura in sequenza di questi componimenti, (che in parte mi erano,
singolarmente già noti), rende l’immagine di una donna viva e vera. Una donna le
cui gioie, sofferenze e le emozioni vissute, deposte nelle pieghe più recondite
della sua anima femminile, hanno formato e caratterizzato la sua poliedrica
personalità d’artista, di figlia, di moglie, di mamma… di donna.
Un
diario intimo della quotidianità. Un riflesso
poetico di un’esistenza femminile del nostro tempo. Un’opera che ci
racconta i sogni e i ricordi di una donna, trasfigurati sublimati dalla sua memoria affettiva. Un’opera che è
appunto“L’immagine che rispecchia il
sacro come un’eco che rimanda il suono al luogo d’origine.”
Rosario Frasca
[1] R. Girard, Mensonge romantique et verité romanesque, Grasset, Paris 1961;
trad.it., Menzogna romantica e verità
romanzesca, Bompiani, Milano 1965, p. 97.
Risonanze, leggendo Eva in tensione, di Giuliana Mangione
di Marco Porta
La vida es sueño?
In spagnolo sueño significa sonno e
sogno. La donna nasce nel sueño di un
uomo, da un Adamo immerso nel sonno che sogna l’amore. In questi tempi in cui
uomini e donne sembrano non comprendere più la ricchezza della differenza e
complementarietà tra il maschile e il femminile, Giuliana ci offre le
confidenze oniriche di una Eva in
tensione. Una Eva tratta dalla costola-sogno di Adamo – la donna dei sogni
– che vorrebbe essere accarezzata nell’anima.
E invece si scontra con la brutalità. Il “bruto” è l’animale
e la brutalità nell’uomo significa mancanza di intelligenza e incapacità di
controllare gli istinti. Altro che carezze nell’anima! Giuliana ci lascia
intravvedere l’immensa sofferenza prodotta dalla violenza, e non solo quella
sessuale: Quell’ombra che senza pudore ha
preso il mio corpo/ e per sempre mi ha tolto il sorriso (p.17).
Eraclito diceva che la filosofia serve a svegliare i
dormienti: nel sonno non si pensa e se non si pensa poi c’è poco da sognare.
C’è bisogno di pensiero, di saggezza, di riflessione, per poi fare sogni d’oro.
Le prose e le poesie di Giuliana risvegliano dal sonno della ragione. Il suo
stile allusivo, che lascia spazio al non detto, dà molto da pensare. Il suo
pensiero è poetante, come lo intende Heidegger, è un pensiero poetante che non
procede per concetti ma per immagini e porta a sognare. Allora mi libero del concetto,/ dell’intelletto./ Sogno./ Solamente
sogno/ e ti rivedo ancora sorridermi/ come allora/ come il tempo che fu.
Passato come ore/ presente nell’amore (p. 42). Pensiamo, dunque, e sogniamo
l’amore: se fossi donna/ il mondo intero
vorrei poter amare (p.31).
Proprio perché c’è amore, c’è anche il dolore. Il dolore
della madre a cui muore un figlio. Ha tutto il diritto, questa madre, di
gridare alla terra e al cielo. Sì, anche al Cielo: eri mio figlio, mio figlio… non il Suo (p. 22). Eppure, eppure:
ogni uomo e ogni donna è anche Suo figlio. È stato Dio a dare ad Adamo il sogno
della donna e del suo amore fecondo che dona la vita. Ogni figlio di donna è
anche figlio di Dio. Di un Dio che ama e soffre. “Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16); “quando venne la pienezza del
tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4); “Gesù allora,
vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla
madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo:
"Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella
sua casa (Gv 19, 26-27).
Recensione di Patrizia Palese
L'identità di Eva secondo Amleto:
RispondiEliminahttp://youtu.be/HiqFCdi3uFc
Tu ignori questo male che s'apprende in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti, tutta beata nelle tue faccende. Mi piaci. Penso che leggendo questi miei versi tuoi, non mi comprenderesti, ed a me piace chi non mi comprende. Ed io non voglio più essere io! Non più l'esteta gelido, il sofista, ma vivere nel tuo borgo natio ma vivere alla piccola conquista mercanteggiando placido, in oblio come tuo padre, come il farmacista... Ed io non voglio più essere io!
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