domenica 24 novembre 2013
martedì 29 ottobre 2013
Barcarolle - Anna Netrebko & Elina Garanca - Offenbach Barcarola
http://www.youtube.com/v/Hdc2zNgJIpY?version=3&autohide=1&autohide=1&showinfo=1&feature=share&autoplay=1&attribution_tag=F-fMfYOvx7rPNnS0vhluNQ
lunedì 28 ottobre 2013
sabato 26 ottobre 2013
giovedì 24 ottobre 2013
Il fango dei guardiani delle porte
Il fango dei guardiani delle porte
Michelle Bonev contro il sistema della menzogna per la verità. Uno sfogo verso chi l'ha attratta nelle porte del potere costringendola a prostituirsi mentalmente e fisicamente. Un atto di coraggio contro la menzogna e le mezze verità.
Michelle Bonev contro il sistema della menzogna per la verità. Uno sfogo verso chi l'ha attratta nelle porte del potere costringendola a prostituirsi mentalmente e fisicamente. Un atto di coraggio contro la menzogna e le mezze verità.
venerdì 18 ottobre 2013
martedì 11 giugno 2013
sabato 1 giugno 2013
La verità “nel” testo: l’ermeneutica realista di René Girard
Forum della rivista di filosofia
ACTA PHILOSOPHICA
Brani tratti dalla relazione di Marco Porta
La verità “nel” testo: l’ermeneutica realista di René Girard
«Il romanzo è il luogo della più profonda verità esistenziale e sociale
del XIX secolo»[1]. Questa perentoria
affermazione mostra emblematicamente, a mio avviso, il peculiare approccio interpretativo
che contraddistingue l’analisi girardiana dei testi letterari, dalla tragedia
greca ai romanzi moderni, alla letteratura mitologica: un realismo ermeneutico non
privo di implicazioni filosofiche. Come è noto, lo studioso franco-americano
sostiene che i grandi letterati (Cervantes, Shakespeare, Sthendal, Flaubert,
Dostoevskij, Proust) smentiscono l’illusione “romantica” dell’assoluta originalità
e autonomia del desiderio umano e ne mostrano invece la natura mimetica. Mentre
l’appetito si rivolge ai beni necessari alla vita ed è immediato e rettilineo, il
desiderio si rivolge in grande misura agli oggetti che gli altri desiderano o
posseggono. In questo senso il desiderio è mediato, triangolare, è appunto
imitativo: si desidera qualcosa perché si vuole essere come l’altro, cioè il
parente, l’amico, il vicino, il collega, ecc. La convergenza dei due desideri
(dell’imitatore e del modello) sullo stesso oggetto fa sì che il modello si
trasformi quasi inevitabilmente in rivale. Sorgono così la competizione e la conflittualità
che iniettano nelle relazioni sociali una miscela esplosiva di sentimenti e di
atteggiamenti (invidia, gelosia, risentimento, emulazione), destinata a far
scoppiare l’aggressività violenta dei singoli e delle comunità, come
testimoniano ampiamente la storia e la cronaca.
Lungo tutto l’arco della sua ricerca, Girard ha privilegiato un approccio
decisamente realistico, senza concedere eccessiva importanza alle distinzioni tra
significati e significanti, tra denotazioni e connotazioni, per attingere
direttamente il “referente” (la verità oggettuale): in questo caso una verità
antropologica di portata universale, in grado di spiegare comportamenti come lo
snobismo, la dipendenza dalle mode, i delitti passionali, o patologie psichiatriche
come il sadismo, il masochismo, l’anoressia, la bulimia. L’approccio di Girard
contrastava nettamente con le teorie linguistiche della semiologia
post-strutturalista, che negli anni Sessanta e Settanta furoreggiavano nell’ambito
della critica letteraria, soffermando l’attenzione sulle funanboliche e
proteiformi potenzialità semantiche del linguaggio, e disinteressandosi con
scettica noncuranza della sua funzione referenziale-veritativa. “Il faut tuer
le référent” dicevano scherzosamente Barthes ed Eco a metà degli anni Sessanta.
In perfetta coerenza con questa “teoresi”, Eco diede forma letteraria, nel suo noto
best-seller Il nome della rosa, a
quello che Guido Sommavilla definì un “allegro nominalismo nichilistico”[2].
Con il suo robusto realismo ermeneutico Girard è entrato fin dall’inizio in rotta di collisione con la tendenza relativista e scettica della cosiddetta postmodernità filosofica, allergica alle istanze “veritative”, soprattutto se di genere metafisico e religioso. Specialmente in Francia, nelle ultime decadi del XX secolo, la filosofia analitica del linguaggio, l’ermeneutica heideggeriana, la semiologia post-strutturalista, le teorie psicanalitiche, sono confluite in una corrente filosofica che sembra attuare il progetto nichilistico abbozzato da Nietzsche in un celebre appunto del 1884, per la composizione della quarta parte dello Zarathustra: «Noi facciamo un esperimento con la verità! Forse l’umanità andrà perduta! Ebbene, così sia!»[4]. Nell’introduzione alla raccolta di saggi pubblicati con l’eloquente titolo La voce inascoltata della realtà, Girard tiene a precisare che i suoi scritti «non riflettono le mode chiassose dell’ultimo scorcio di secolo, le diverse reincarnazioni della cosiddetta French theory che, negli anni della loro composizione, dominava la scena delle università americane… Tutte queste teorie consistevano in una distruzione illusoria della realtà»[5]. Autori come Lyotard, Foucalt, Derrida, Baudrillard, Deleuze, Guattari, benché molto diversi per interessi tematici e proposte teoretiche, convergono nel problematizzare la presa conoscitiva del linguaggio e condividono una posizione filosofica antifondazionista. Ma anche fuori dalla Francia i “postmoderni”, ad esempio Rorty negli Stati Uniti e Vattimo in Italia, assegnano alla filosofia il compito di decostruire le pretenziose “metanarrazioni” dei pensieri “forti” del passato, per sostituirvi uno spazio retorico dove possano incontrarsi e coesistere tutte le differenze culturali: una sorta di conversazione dove la political correctness impone di sacrificare i giudizi di verità e di valore all’esigenza di trovare un consenso amichevole fra le parti. Come afferma Vattimo, contraddicendo Platone e Aristotele, “amica veritas, sed magis amicus Plato”.
Con il suo robusto realismo ermeneutico Girard è entrato fin dall’inizio in rotta di collisione con la tendenza relativista e scettica della cosiddetta postmodernità filosofica, allergica alle istanze “veritative”, soprattutto se di genere metafisico e religioso. Specialmente in Francia, nelle ultime decadi del XX secolo, la filosofia analitica del linguaggio, l’ermeneutica heideggeriana, la semiologia post-strutturalista, le teorie psicanalitiche, sono confluite in una corrente filosofica che sembra attuare il progetto nichilistico abbozzato da Nietzsche in un celebre appunto del 1884, per la composizione della quarta parte dello Zarathustra: «Noi facciamo un esperimento con la verità! Forse l’umanità andrà perduta! Ebbene, così sia!»[4]. Nell’introduzione alla raccolta di saggi pubblicati con l’eloquente titolo La voce inascoltata della realtà, Girard tiene a precisare che i suoi scritti «non riflettono le mode chiassose dell’ultimo scorcio di secolo, le diverse reincarnazioni della cosiddetta French theory che, negli anni della loro composizione, dominava la scena delle università americane… Tutte queste teorie consistevano in una distruzione illusoria della realtà»[5]. Autori come Lyotard, Foucalt, Derrida, Baudrillard, Deleuze, Guattari, benché molto diversi per interessi tematici e proposte teoretiche, convergono nel problematizzare la presa conoscitiva del linguaggio e condividono una posizione filosofica antifondazionista. Ma anche fuori dalla Francia i “postmoderni”, ad esempio Rorty negli Stati Uniti e Vattimo in Italia, assegnano alla filosofia il compito di decostruire le pretenziose “metanarrazioni” dei pensieri “forti” del passato, per sostituirvi uno spazio retorico dove possano incontrarsi e coesistere tutte le differenze culturali: una sorta di conversazione dove la political correctness impone di sacrificare i giudizi di verità e di valore all’esigenza di trovare un consenso amichevole fra le parti. Come afferma Vattimo, contraddicendo Platone e Aristotele, “amica veritas, sed magis amicus Plato”.
Un’ulteriore provocazione allo scetticismo postmoderno è venuta dall’interpretazione
girardiana del sacro arcaico come risoluzione della violenza mimetica e dalla sua
conseguente teoria del religioso come origine della cultura e delle istituzioni
sociali. Non per nulla l’accademico di Stanford tiene a ribadire che «da un
punto di vista filosofico si dovrebbero sempre sottolineare gli aspetti
realistici della mia teoria. L’intera prospettiva sulla mitologia contenuta
nella mia teoria rappresenta una vera rivoluzione nell'atteggiamento verso il
realismo tipico delle discipline umanistiche del XX secolo»[6]. Indagato
infatti senza i pregiudizi e le eccessive cautele di derivazione relativista,
il vasto universo mitologico ha potuto svelare nell’analisi girardiana una
verità “storica” di fondamentale importanza, e cioè che l’ordine e
l’organizzazione sociale delle primitive comunità umane traggono origine da una
violenta crisi risolta per mezzo di un sacrificio. In una varietà straordinaria
di forme narrative, le mitologie di ogni luogo del pianeta attestano con una
sostanziale e ineludibile unanimità la vicenda davvero sconvolgente che nel
caos primordiale, simboleggiato spesso nei miti dalla guerra tra gli dèi, la violenza
di tutti contro tutti si risolve improvvisamente nella violenza di tutti contro
uno. Nel lento processo che in decine di migliaia di anni ha condotto dagli
ominidi all’homo sapiens sapiens il
meccanismo vittimario del caprio espiatorio servì da valvola di scarico o
parafulmine della violenza. Quando le rivalità mimetiche spingevano i primitivi
gruppi umani sull’orlo dell’autodistruzione violenta, il gruppo si coalizzava nell’identificazione
di un colpevole, il cui successivo linciaggio riportava “miracolosamente” la
pace e la concordia, con un tale beneficio per la comunità che la vittima
sacrificale veniva poi divinizzata. È così che nei tempi remoti dell’umanità è
sorta la dimensione sacrale, con la sua caratteristica ambiguità: violenta e
pacificatrice, malefica e benefica.
Contro l’interpretazione puramente allegorica del mito, proposta nell’antichità
dai filosofi greci, e soprattutto contro la lettura razionalista moderna che
squalifica il mito come semplice fiction o come pensiero selvaggio e
irrazionale, Girard dimostra che nei testi mitologici è nascosta la verità
storica, reale, dell’omicidio fondatore. Poiché i narratori sono degli
assassini “in buona fede”, il mito afferma la colpevolezza della vittima.
Occorre “decostruire” il testo mitico per smascherare la menzogna. Come si
vede, il realismo ermeneutico di Girard non è sudditanza ingenua al testo: «Io
non esito a contraddire il testo, come noi contraddiciamo i cacciatori di
streghe quando ci assicurano che le loro vittime sono veramente colpevoli.
Bisogna far saltare in aria il mito nello stesso senso con cui mandiamo
all’aria i processi alle streghe. Bisogna far vedere che, dietro al mito, non
c’è né il puro immaginario, né il puro avvenimento, ma un resoconto falsato
dall’efficacia stessa del meccanismo vittimario».
La ricerca di Girard è approdata a una lettura “antropologica” della
Bibbia che fa emergere dal “testo” lo smascheramento della menzogna vittimaria
del sacro arcaico: a differenza di tutte le tradizioni mitiche, la Bibbia
dichiara infatti, senza eccezioni, l’innocenza delle vittime sacrificali. Dall’uccisione
di Abele alla crocifissione di Cristo la violenza umana viene denunciata in
tutta la sua cruda verità persecutoria. In un Occidente che accusa il
cristianesimo di etnocentrismo culturale, di colonialismo religioso, di
intolleranza dogmatica, che ne fa insomma il capro espiatorio dei tempi
moderni, la voce di Girard si è alzata con forza per dimostrare che è proprio
dal Vangelo che scaturiscono gli atteggiamenti di cui oggi, pur in mezzo a
tante contraddizioni, può andar fiero il mondo occidentale: la solidarietà con
le vittime, il rispetto delle minoranze, l’apertura nei confronti del diverso,
ecc. La violenza umana non ha nulla a che vedere con la convinzione di verità
propria della fede, ma nasce nel cuore dell’uomo che si lascia accecare dai
desideri mimetici (o con terminologia biblica, dalla triplice concupiscenza) e
la via più sicura per fronteggiarla passa per l’imitazione della kénosis di Cristo, «il quale, pur
essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con
Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile
agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e alla morte di croce»[7].
Il recente dibattito suscitato in Italia dalla pubblicazione del saggio
di M. Ferraris, Manifesto del nuovo
realismo[8], mostra che il disincanto
scettico postmoderno comincia a dare qualche segno di estenuazione. C’è da
augurarsi che le ragioni del realismo siano di nuovo ammesse nella discussione sul
“caso serio” della fede, smettendola con il vezzo di “far ridere della verità”,
come in parte aveva fatto lo stesso Ferraris sostenendo qualche anno fa che
credere in Gesù sia più o meno equivalente a credere in Babbo Natale[9].
Senz’altro le opere di Girard contribuiranno ulteriormente a sdoganare la
riflessione filosofica dall’impasse dello
scetticismo relativista.
[1] R. Girard, Mensonge
romantique et verité romanesque, Grasset, Paris 1961; trad.it., Menzogna romantica e verità romanzesca,
Bompiani, Milano 1965, p. 97.
[2] «La Civiltà Cattolica» 1981,
III, pp. 502-506.
[4] «– wir machen einen Versuch mit der Wahrheit!
Vielleicht geht die Menschheit dran zu Grunde! Wohlan!» (Nietzsche Werke,
ed. crit. a cura di G. Colli e M. Montinari, vol. VII/2, Nachgelassene
Fragmente (Frühjahr bis Herbst 1884) Walter de Gruyter, Berlin-New York,
1974, p. 84 (25 [305]).
[5] Adelphi, Milano 2006, p. 11
(l’originale francese è del 2002: La voix
méconnue du réel).
[6] R. Girard, Origine
della cultura e fine della storia. Dialoghi con P. Antonello e J. C. de Castro
Rocha, Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 111.
[7] Fil 2, 6-8.
[8] M. Ferraris, Manifesto
del nuovo realismo, Laterza, Bari 2012.
[9] M. Ferraris, Babbo
Natale, Gesù adulto. In cosa crede chi crede?, Bompiani, Milano 2006.
domenica 12 maggio 2013
giovedì 9 maggio 2013
martedì 5 marzo 2013
Libri
Quarta di copertina di Matteo Frasca
Nella breve raccolta di racconti e
poesie convivono figure di stampo shakesperiano, fredde donne manager odiate
dalle loro dipendenti, mamme costrette a perdere i loro figli, figlie a loro
volta che sanno incontrare in spazi insoliti le loro madri, mogli che tengono
fissi i loro occhi fino all’ultimo sul loro amore di sempre, ragazze che si
risvegliano dal coma e continuano
ad inseguire i loro sogni, poetesse che cercano angoli di mondo per liberarsi
di tutte i loro versi, inquiline di case distrutte dal terremoto, infermiere
che incontrano incredule una cieca
e attempata divinità che gioca con i destini degli uomini. E altre
ancora.
Madri,
mogli, figlie, amanti, donne che coltivano la loro inquietudine – sentimento
non necessariamente negativo – per
imparare ad amare come possono, in ogni circostanza.
Con quello straordinario dolore e
quella pietas femminile che ad ogni
sguardo, ad ogni ritratto raccontato dall’autrice – che sia prosa o lirica –
mostra ai lettori uno specchio umano e variegato su cui interrogarsi, senza
alcuna presunzione di avere certezze, né risposte consolatorie.
Prefazione
“L’immagine rispecchia il sacro come un’eco
rimanda il suono al luogo d’origine.”1
Novembre 1974. Mi apprestavo a compiere il
quinto lustro e la vita mi stava scivolando addosso senza lasciare traccia. Ci
accomunava una certa parentela con gli sposi e il fatto che eravamo diversi: io
maschio, lei femmina. La guardavo per scoprire qualcosa che mi potesse
arpionare a lei e con lei, alla vita. Al tavolo che ci ospitava per il pranzo,
lei era seduta quasi di fronte a me e parlava con i ragazzi che le erano seduti
accanto. Io la osservavo e ascoltavo senza intervenire, ma il fatto che
parlasse con loro un po’ m’infastidiva; non la volevo condividere con gli altri;
desideravo l’esclusiva. Era carina, più giovane di me, un’adolescente in una
delle sue prime uscite sociali. Mi affascinava il suo modo di tenere a bada
quei ragazzi: annullava con arte e con garbo, qualsiasi tentativo di
sorprenderla. Evidentemente non gradiva la loro compagnia ed io lo percepivo.
Volevo stare con lei; magari con una scusa trovarci soli e parlare di noi tra
noi, senza sguardi indiscreti. L’occasione si presentò e ci trovammo fuori in
giardino da soli. Lei parlava, io ascoltavo e di tanto in tanto interloquivo
con monosillabi di consenso e di sostegno alle sue perifrasi esistenziali. Mi
parlava di lei, delle sue sofferenze, dei suoi rapporti con i genitori, del suo
sentirsi oppressa, prigioniera, relegata in ruoli che non gradiva; del suo
rapporto difficile con il padre, con la scuola e con il lavoro; del suo non
sentirsi libera. Era bellissima, più parlava e più mi piaceva. Una ribelle come
me. Con una scusa trovai il coraggio di prenderle le mani e tenerle tra le mie.
Le toccavo, le accarezzavo; lei se le lasciava trastullare. Sentivo che muoveva
docilmente le sue dita chiuse nella mia mano; sentivo il suo abbandono, il suo
lasciarsi guidare in quei movimenti docili e minimi delle dita. Si era
avvicinata con il suo corpo al mio; la sentivo senza toccarla; i nostri corpi
quasi respiravano insieme. Non ne ero ancora consapevole, ma accanto a me c’era
la donna della mia vita.
Quella stessa donna che nel novembre del
1974, in un giardino di un ristorante romano, teneva le sue mani nelle mie, mi
ha chiesto ora di scrivere la prefazione del suo primo libro. Mi sono sentito
importante e, per qualche giorno mi sono crogiolato in un intimo e sottile
piacere di vanità che ha orientato i miei tentativi di approccio verso
improbabili e assurde elucubrazioni letterarie. Poi sono tornato alla realtà di
un libro scritto con amore e che parla d’amore in tutte le forme in cui si è
presentato a una donna del nostro tempo.
«Il romanzo è il luogo della più profonda
verità esistenziale e sociale del XIX secolo»[1].
La tensione di Eva non è proprio un
romanzo, cui Renè Girard si riferisce
per rilevare l’approccio interpretativo basato sul realismo ermeneutico, ma è una raccolta di racconti e poesie estemporanee
che indicano il cammino di donna dell’autrice; un cammino visto come “il romanzo” dell’asserzione girardiana.
Dall’intimo conflitto esistenziale di una ragazza piena di femminilità, che il
padre in cuor suo desiderava fosse maschio (“ah se tua sorella fosse nata maschio, allora
sì…”Prima che Lady Macbeth), alla riconciliazione affettiva,
amorevole e filiale di una donna matura con lo stesso padre, uomo ormai
vecchio, rugoso e sorridente (vola il
pensiero mio / alla speranza di guardarti per molto tempo ancora -
Ti guardo ora).
Un cammino in
cui il sogno e la realtà sono espressi in un’unica unità narrativa. Una narrazione che riflette il vissuto sentimentale
ed emozionale dell’autrice. Sogno e realtà dunque, come unica verità, agita e
mediata da una donna che non vuole rinunciare alla sua natura femminile
nonostante i tempi e le situazioni le chiedano il contrario. Una femminilità
preziosa, che sola può condurla a quella “maternità” che pervade e risplende
nei componimenti La carezza nell’anima ed
Eri mio figlio, e a quell’unicum
coniugale che traspare dal racconto-monologo La valigia.
In
questa raccolta l’autrice ha scelto e riunito i suoi componimenti, scritti in
tempi e situazioni diverse, (dalla conduzione della casa e della famiglia,
all’educazione dei figli, dalla condivisione coniugale, al lavoro
professionale, fino alla sua rilevante e personale esperienza teatrale e
cinematografica, ecc.). Il risultato è un insieme organico che rappresenta il
suo romanzo ovvero la sintesi
emozionale di fatti e accadimenti che hanno forgiato la sua personalità.
Lo
stile seguito è libero da qualsiasi classificazione e catalogazione; una sorta
di diario poetico e narrativo in cui l’esperienza teatrale dell’autrice
riaffiora nelle fervide immaginazioni sceniche e nelle trame. Racconti e poesie
rese in una sequenza ordinata, non sempre secondo la cronologia in cui sono state
scritte, ma secondo i richiami emozionali della sua memoria affettiva; un ordine che segue comunque un filo logico che
lega i singoli componimenti e che culmina nell’ultima e dolcissima poesia Ti guardo ora.
La
lettura in sequenza di questi componimenti, (che in parte mi erano,
singolarmente già noti), rende l’immagine di una donna viva e vera. Una donna le
cui gioie, sofferenze e le emozioni vissute, deposte nelle pieghe più recondite
della sua anima femminile, hanno formato e caratterizzato la sua poliedrica
personalità d’artista, di figlia, di moglie, di mamma… di donna.
Un
diario intimo della quotidianità. Un riflesso
poetico di un’esistenza femminile del nostro tempo. Un’opera che ci
racconta i sogni e i ricordi di una donna, trasfigurati sublimati dalla sua memoria affettiva. Un’opera che è
appunto“L’immagine che rispecchia il
sacro come un’eco che rimanda il suono al luogo d’origine.”
Rosario Frasca
[1] R. Girard, Mensonge romantique et verité romanesque, Grasset, Paris 1961;
trad.it., Menzogna romantica e verità
romanzesca, Bompiani, Milano 1965, p. 97.
Risonanze, leggendo Eva in tensione, di Giuliana Mangione
di Marco Porta
La vida es sueño?
In spagnolo sueño significa sonno e
sogno. La donna nasce nel sueño di un
uomo, da un Adamo immerso nel sonno che sogna l’amore. In questi tempi in cui
uomini e donne sembrano non comprendere più la ricchezza della differenza e
complementarietà tra il maschile e il femminile, Giuliana ci offre le
confidenze oniriche di una Eva in
tensione. Una Eva tratta dalla costola-sogno di Adamo – la donna dei sogni
– che vorrebbe essere accarezzata nell’anima.
E invece si scontra con la brutalità. Il “bruto” è l’animale
e la brutalità nell’uomo significa mancanza di intelligenza e incapacità di
controllare gli istinti. Altro che carezze nell’anima! Giuliana ci lascia
intravvedere l’immensa sofferenza prodotta dalla violenza, e non solo quella
sessuale: Quell’ombra che senza pudore ha
preso il mio corpo/ e per sempre mi ha tolto il sorriso (p.17).
Eraclito diceva che la filosofia serve a svegliare i
dormienti: nel sonno non si pensa e se non si pensa poi c’è poco da sognare.
C’è bisogno di pensiero, di saggezza, di riflessione, per poi fare sogni d’oro.
Le prose e le poesie di Giuliana risvegliano dal sonno della ragione. Il suo
stile allusivo, che lascia spazio al non detto, dà molto da pensare. Il suo
pensiero è poetante, come lo intende Heidegger, è un pensiero poetante che non
procede per concetti ma per immagini e porta a sognare. Allora mi libero del concetto,/ dell’intelletto./ Sogno./ Solamente
sogno/ e ti rivedo ancora sorridermi/ come allora/ come il tempo che fu.
Passato come ore/ presente nell’amore (p. 42). Pensiamo, dunque, e sogniamo
l’amore: se fossi donna/ il mondo intero
vorrei poter amare (p.31).
Proprio perché c’è amore, c’è anche il dolore. Il dolore
della madre a cui muore un figlio. Ha tutto il diritto, questa madre, di
gridare alla terra e al cielo. Sì, anche al Cielo: eri mio figlio, mio figlio… non il Suo (p. 22). Eppure, eppure:
ogni uomo e ogni donna è anche Suo figlio. È stato Dio a dare ad Adamo il sogno
della donna e del suo amore fecondo che dona la vita. Ogni figlio di donna è
anche figlio di Dio. Di un Dio che ama e soffre. “Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16); “quando venne la pienezza del
tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4); “Gesù allora,
vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla
madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo:
"Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella
sua casa (Gv 19, 26-27).
sabato 23 febbraio 2013
Recensioni, articoli,
Recensioni e articoli
L'arte del monologo - Le braci
Un invito alla lettura di questo classico di Sandor Marai con un'attenzione particolare per i suoi momenti narrativi fatti di silenzi e monologhi
Un arcangelo pasoliniano - Quis ut deus
Un'interpretazione pasoliniana dell'ultimo romanzo del famoso sceneggiatore e artista poliedrico Paolo Logli
Zoe la cantastorie - Nata viva
Riflessioni sullo spettacolo teatrale "Zoe la cantastorie", tratto dal libro Nata viva di Zoe Rondini, andato in scena all'Abarico Teatro di Roma, il 31 maggio 2012
L'arte del monologo - Le braci
Un invito alla lettura di questo classico di Sandor Marai con un'attenzione particolare per i suoi momenti narrativi fatti di silenzi e monologhi
Un arcangelo pasoliniano - Quis ut deus
Un'interpretazione pasoliniana dell'ultimo romanzo del famoso sceneggiatore e artista poliedrico Paolo Logli
Zoe la cantastorie - Nata viva
Riflessioni sullo spettacolo teatrale "Zoe la cantastorie", tratto dal libro Nata viva di Zoe Rondini, andato in scena all'Abarico Teatro di Roma, il 31 maggio 2012
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