martedì 5 marzo 2013

Libri




Quarta di copertina di Matteo Frasca

     Sguardi di donne inquiete, che hanno il coraggio di guardare dove nessuno oserebbe.
      Nella breve raccolta di racconti e poesie convivono figure di stampo shakesperiano, fredde donne manager odiate dalle loro dipendenti, mamme costrette a perdere i loro figli, figlie a loro volta che sanno incontrare in spazi insoliti le loro madri, mogli che tengono fissi i loro occhi fino all’ultimo sul loro amore di sempre, ragazze che si risvegliano  dal coma e continuano ad inseguire i loro sogni, poetesse che cercano angoli di mondo per liberarsi di tutte i loro versi, inquiline di case distrutte dal terremoto, infermiere che incontrano incredule una cieca  e attempata divinità che gioca con i destini degli uomini. E altre ancora.
      Madri, mogli, figlie, amanti, donne che coltivano la loro inquietudine – sentimento non necessariamente negativo –  per imparare ad amare come possono, in ogni circostanza.
      Con quello straordinario dolore e quella pietas femminile che ad ogni sguardo, ad ogni ritratto raccontato dall’autrice – che sia prosa o lirica – mostra ai lettori uno specchio umano e variegato su cui interrogarsi, senza alcuna presunzione di avere certezze, né risposte consolatorie. 





Prefazione


“L’immagine rispecchia il sacro come un’eco rimanda il suono al luogo d’origine.”1


Novembre 1974. Mi apprestavo a compiere il quinto lustro e la vita mi stava scivolando addosso senza lasciare traccia. Ci accomunava una certa parentela con gli sposi e il fatto che eravamo diversi: io maschio, lei femmina. La guardavo per scoprire qualcosa che mi potesse arpionare a lei e con lei, alla vita. Al tavolo che ci ospitava per il pranzo, lei era seduta quasi di fronte a me e parlava con i ragazzi che le erano seduti accanto. Io la osservavo e ascoltavo senza intervenire, ma il fatto che parlasse con loro un po’ m’infastidiva; non la volevo condividere con gli altri; desideravo l’esclusiva. Era carina, più giovane di me, un’adolescente in una delle sue prime uscite sociali. Mi affascinava il suo modo di tenere a bada quei ragazzi: annullava con arte e con garbo, qualsiasi tentativo di sorprenderla. Evidentemente non gradiva la loro compagnia ed io lo percepivo. Volevo stare con lei; magari con una scusa trovarci soli e parlare di noi tra noi, senza sguardi indiscreti. L’occasione si presentò e ci trovammo fuori in giardino da soli. Lei parlava, io ascoltavo e di tanto in tanto interloquivo con monosillabi di consenso e di sostegno alle sue perifrasi esistenziali. Mi parlava di lei, delle sue sofferenze, dei suoi rapporti con i genitori, del suo sentirsi oppressa, prigioniera, relegata in ruoli che non gradiva; del suo rapporto difficile con il padre, con la scuola e con il lavoro; del suo non sentirsi libera. Era bellissima, più parlava e più mi piaceva. Una ribelle come me. Con una scusa trovai il coraggio di prenderle le mani e tenerle tra le mie. Le toccavo, le accarezzavo; lei se le lasciava trastullare. Sentivo che muoveva docilmente le sue dita chiuse nella mia mano; sentivo il suo abbandono, il suo lasciarsi guidare in quei movimenti docili e minimi delle dita. Si era avvicinata con il suo corpo al mio; la sentivo senza toccarla; i nostri corpi quasi respiravano insieme. Non ne ero ancora consapevole, ma accanto a me c’era la donna della mia vita.

Quella stessa donna che nel novembre del 1974, in un giardino di un ristorante romano, teneva le sue mani nelle mie, mi ha chiesto ora di scrivere la prefazione del suo primo libro. Mi sono sentito importante e, per qualche giorno mi sono crogiolato in un intimo e sottile piacere di vanità che ha orientato i miei tentativi di approccio verso improbabili e assurde elucubrazioni letterarie. Poi sono tornato alla realtà di un libro scritto con amore e che parla d’amore in tutte le forme in cui si è presentato a una donna del nostro tempo. 

«Il romanzo è il luogo della più profonda verità esistenziale e sociale del XIX secolo»[1].
La tensione di Eva non è proprio un romanzo, cui Renè Girard si riferisce per rilevare l’approccio interpretativo basato sul realismo ermeneutico, ma è una raccolta di racconti e poesie estemporanee che indicano il cammino di donna dell’autrice; un cammino visto come “il romanzo” dell’asserzione girardiana. Dall’intimo conflitto esistenziale di una ragazza piena di femminilità, che il padre in cuor suo desiderava fosse maschio (“ah se tua sorella fosse nata maschio, allora sì…”Prima che Lady Macbeth), alla riconciliazione affettiva, amorevole e filiale di una donna matura con lo stesso padre, uomo ormai vecchio, rugoso e sorridente (vola il pensiero mio / alla speranza di guardarti per molto tempo ancora - Ti guardo ora).

Un cammino in cui il sogno e la realtà sono espressi in un’unica unità narrativa. Una narrazione che riflette il vissuto sentimentale ed emozionale dell’autrice. Sogno e realtà dunque, come unica verità, agita e mediata da una donna che non vuole rinunciare alla sua natura femminile nonostante i tempi e le situazioni le chiedano il contrario. Una femminilità preziosa, che sola può condurla a quella “maternità” che pervade e risplende nei componimenti La carezza nell’anima ed  Eri mio figlio, e a quell’unicum coniugale che traspare dal racconto-monologo La valigia.

In questa raccolta l’autrice ha scelto e riunito i suoi componimenti, scritti in tempi e situazioni diverse, (dalla conduzione della casa e della famiglia, all’educazione dei figli, dalla condivisione coniugale, al lavoro professionale, fino alla sua rilevante e personale esperienza teatrale e cinematografica, ecc.). Il risultato è un insieme organico che rappresenta il suo romanzo ovvero la sintesi emozionale di fatti e accadimenti che hanno forgiato la sua personalità.

Lo stile seguito è libero da qualsiasi classificazione e catalogazione; una sorta di diario poetico e narrativo in cui l’esperienza teatrale dell’autrice riaffiora nelle fervide immaginazioni sceniche e nelle trame. Racconti e poesie rese in una sequenza ordinata, non sempre secondo la cronologia in cui sono state scritte, ma secondo i richiami emozionali della sua memoria affettiva; un ordine che segue comunque un filo logico che lega i singoli componimenti e che culmina nell’ultima e dolcissima poesia Ti guardo ora.

La lettura in sequenza di questi componimenti, (che in parte mi erano, singolarmente già noti), rende l’immagine di una donna viva e vera. Una donna le cui gioie, sofferenze e le emozioni vissute, deposte nelle pieghe più recondite della sua anima femminile, hanno formato e caratterizzato la sua poliedrica personalità d’artista, di figlia, di moglie, di mamma… di donna.

Un diario intimo della quotidianità. Un riflesso poetico di un’esistenza femminile del nostro tempo. Un’opera che ci racconta i sogni e i ricordi di una donna, trasfigurati sublimati dalla sua memoria affettiva. Un’opera che è appunto“L’immagine che rispecchia il sacro come un’eco che rimanda il suono al luogo d’origine.”

Rosario Frasca



1
[1] R. Girard, Mensonge romantique et verité romanesque, Grasset, Paris 1961; trad.it., Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 1965, p. 97.



Risonanze, leggendo Eva in tensione, di Giuliana Mangione 

di Marco Porta

La vida es sueño? In spagnolo sueño significa sonno e sogno. La donna nasce nel sueño di un uomo, da un Adamo immerso nel sonno che sogna l’amore. In questi tempi in cui uomini e donne sembrano non comprendere più la ricchezza della differenza e complementarietà tra il maschile e il femminile, Giuliana ci offre le confidenze oniriche di una Eva in tensione. Una Eva tratta dalla costola-sogno di Adamo – la donna dei sogni – che vorrebbe essere accarezzata nell’anima.

E invece si scontra con la brutalità. Il “bruto” è l’animale e la brutalità nell’uomo significa mancanza di intelligenza e incapacità di controllare gli istinti. Altro che carezze nell’anima! Giuliana ci lascia intravvedere l’immensa sofferenza prodotta dalla violenza, e non solo quella sessuale: Quell’ombra che senza pudore ha preso il mio corpo/ e per sempre mi ha tolto il sorriso (p.17).

Eraclito diceva che la filosofia serve a svegliare i dormienti: nel sonno non si pensa e se non si pensa poi c’è poco da sognare. C’è bisogno di pensiero, di saggezza, di riflessione, per poi fare sogni d’oro. Le prose e le poesie di Giuliana risvegliano dal sonno della ragione. Il suo stile allusivo, che lascia spazio al non detto, dà molto da pensare. Il suo pensiero è poetante, come lo intende Heidegger, è un pensiero poetante che non procede per concetti ma per immagini e porta a sognare. Allora mi libero del concetto,/ dell’intelletto./ Sogno./ Solamente sogno/ e ti rivedo ancora sorridermi/ come allora/ come il tempo che fu. Passato come ore/ presente nell’amore (p. 42). Pensiamo, dunque, e sogniamo l’amore: se fossi donna/ il mondo intero vorrei poter amare (p.31).

Proprio perché c’è amore, c’è anche il dolore. Il dolore della madre a cui muore un figlio. Ha tutto il diritto, questa madre, di gridare alla terra e al cielo. Sì, anche al Cielo: eri mio figlio, mio figlio… non il Suo (p. 22). Eppure, eppure: ogni uomo e ogni donna è anche Suo figlio. È stato Dio a dare ad Adamo il sogno della donna e del suo amore fecondo che dona la vita. Ogni figlio di donna è anche figlio di Dio. Di un Dio che ama e soffre. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16); “quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4, 4); “Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa (Gv 19, 26-27).

Prego perché mi lasci un posto… accanto al tuo (p. 33). Sì, questa è davvero una bella preghiera, che tutti dobbiamo far nostra. Quel Figlio nato da donna non poteva mentire quando ha detto: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io” (Gv 14, 2-3).