lunedì 11 giugno 2012

Zoe la cantastorie.


Zoe la cantastorie.  
Riflessioni sullo spettacolo teatrale "Zoe la cantastorie", andato in scena all'Abarico Teatro di Roma, il 31 maggio 2012. (con Zoe Rondini, Matteo Frasca - Supervisione alla regia di Tiziana Scrocca). 
La genialità dei "matti" è proverbiale e intrigante quanto quella dei poeti. 
 "Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro e mi son fatto un'idea...e cioè che non c'è niente al mondo che non serve. Lo vedi questo sassolino? Ecco, anche questo sassolino serve a qualcosa. Io non lo so a che cosa serve… se uno sapesse tutto, quando si nasce, quando si muore, sarebbe Dio. Io non lo so a che cosa serve questo sasso, ma serve. Perché se non serve questo sasso, non servono neanche le stelle.." (cfr. F. Fellini, La Strada).

Il sogno si è avverato. Zoe è sul palcoscenico dell'Abarico Teatro di Roma. Sta lì, seduta immobile sulla sedia; l’immobilità nasconde in qualche modo che è una ragazza disabile. Accanto è seduto Matteo che la guida, la sostiene, la ostacola, la libera in questo sogno che diventa realtà. 

Il cuore di Zoe palpita sicuramente, come in tutti i debutti della vita; e palpita all'unisono con i cuori della mamma e della sorella, con quello del nonno e con i cuori di tutti i famigliari e gli amici più intimi o meno, che sono seduti davanti a lei, in una platea non separata dalla scena, né materialmente né spiritualmente. Il teatro è piccolo e raccolto e dà una calda sensazione d’intimità: si può dire che attori e spettatori sono sullo stesso palcoscenico. Gli spettatori assumono quasi la funzione di "coro" del teatro greco. Noi siamo lì, attenti; forse qualcuno si commuove. La partecipazione del pubblico la sento palpabile; proprio come quella "degli uditori partecipi, in qualche modo collaboratori" che Silvio D'Amico ha ben codificato come necessità inderogabile di uno spettacolo teatrale.

Zoe nasconde la sua emozione nella penombra in cui è immersa; all'apertura dello spettacolo i riflettori sono puntati su Matteo che, con la chitarra, qualche passo più indietro, intona una ninna nanna. "Ninna nanna, ninna nanna, tesoruccio della mamma, della mamma e della nonna, del papà se poi ritorna"... nel sentire queste parole, mi sovviene un dubbio: - la ninna nanna dei miei ricordi dice "del papà quando ritorna" e non "del papà se poi ritorna" - Un sussulto cerebrale mi riporta per un attimo alla vita reale di Zoe; poi tutto ritorna in quell'atmosfera di sogno e di distacco in cui si sviluppa qualsiasi spettacolo. L'assenza di un padre sarà comunque per me, il motivo guida dello spettacolo e su questo mi sorprenderò a misurare le mie emozioni nello sviluppo della narrazione scenica.

Matteo dialoga con Zoe che affabula sull'assenza del padre e sulla sua "miracolosa" nascita con sereno distacco narrativo. Zoe parla di quei cinque minuti di non respiro che le hanno "donato" la vita e che... ora sta vivendo sul palcoscenico. Matteo le dice, infatti: Zoe, usa questi cinque minuti di sospensione per immaginare e raccontare come sarà la tua vita. Al termine, potrai così decidere se respirare o no.… Se vale la pena vivere o non vivere, essere o non essere, venire al mondo o restare nell'oblio dei non nati.

Zoe inizia, pian pianino esce dall'emozione del debutto e racconta, anzi, canta la sua vita; la canta con il corpo, i gesti, la mimica, la voce; ci racconta della mamma, della sorella, della nonna, del nonno. La famiglia di Zoe ha preso la scena; è lì presente, nei feticci che ne rappresentano i personaggi nella memoria affettiva di Zoe: una foto per la mamma, una collana per la nonna, un pupazzo per la sorella, un libro per il nonno. Zoe parla dei suoi cari, ci si relaziona, li ama senza inutili smancerie; racconta con realismo il forte legame affettivo con tutti.

Renè Girard scrive: La memoria affettiva ritrova lo slancio verso il sacro (...). Il sacro emana il suo profumo. Zoe odora e accarezza i feticci.  Zoe dunque, sul palcoscenico, riprende la sua vita; "trasfigura" con il ricordo affettivo la personalità dei suoi famigliari e li rigenera sulla scena. I suoi famigliari spett-attori partecipano a questa "trasfigurazione" e, ne sono convinto, sentono fin nelle pieghe più nascoste del loro essere, l'amore di Zoe. Lo spettacolo diventa a questo punto, una rappresentazione sulla sacralità della vita. Matteo scandisce il primo minuto: Zoe bambina; poi il secondo: Zoe adolescente e il terzo: Zoe adulta... e così via fino al respiro. 

Le parole e la musica di Matteo guidano e danno ritmo, come un battito cardiaco, all'azione scenica di Zoe, del suo essere bambina, "accolta" in un mondo di adulti. Che cosa fanno i bambini per conoscere il mondo? Giocano e fanno gli esercizi imposti dagli adulti. Zoe racconta i suoi giochi, la gioia nel giocare e la noia nell'esercitarsi. Matteo rafforza le parole e i comportamenti di Zoe; rileva così come il mondo degli adulti "utilitaristi" è ostile al mondo naturale e "libero" dei bambini; è così per tutti; è stato così anche per Zoe. 

Romano Guardini scrive sull'educazione: L'educazione consiste in buona parte, non nell'essere amabili, comprensivi, disinteressati, ma nel dissimulare i propri sentimenti: così, parole e comportamenti dell'adulto contengono molto di inautentico e di sleale. Per contro il bambino è semplice e sincero. (…). Egli non avverte ancora gli ostacoli che rendono difficile alla persona adulta l'essere veritiera. Scrive ancora Guardini, qualche rigo prima: (...) divenire adulti è cosa che ha inizio, in verità, già col primo respiro. L'educazione di Zoe, inizia, incontra gli ostacoli e le contrarietà della vita immaginata e “adulterate" ancor prima di fare il primo respiro. Zoe inizia a essere "adulta" ancor prima di venire al mondo. Queste sono le "meraviglie educative" del teatro.

Matteo continua a scandire le fasi della vita immaginata da Zoe. Zoe immagina e rivive la sua adolescenza, le nuove scoperte; poi, la consapevolezza di essere adulta e in questa consapevolezza Matteo diventa l'antagonista di Zoe con un suo monologo su "I limiti" dell'essere umano; parla dei suoi limiti che fanno da contraltare a quelli di Zoe e che Matteo rimarca e denuncia con forza perché il proprio limite non gli permette di eliminarli e/o correggerli. 

La rabbia di Zoe adulta esplode in una veemente invettiva contro gli "altri" che non sono consapevoli dei propri limiti perché troppo occupati a guardare i limiti altrui. Urla Zoe: - Siete voi gli handicappati! - Una rabbia forte, vitale che la avvolge nei suoi movimenti quasi neonatali, quel respiro che resta sospeso...ma lei ha bisogno di quel respiro per esprimere la propria rabbia. E' il momento culmine dello spettacolo; Zoe agita le braccia attorno al suo viso, si avvolge in una mobilità fetale fino a… emettere il primo vagito. Il respiro le dona la vita. Il respiro la salva dall'oblio. E' nata. E' "Nata viva".

Matteo invita Zoe a esprimere i suoi desideri da adulta ora che è viva e che è venuta al mondo. Zoe dice voglio essere utile; voglio fare la cantastorie e raccontare la mia storia agli altri affinché possano accorgersi che vivere è bello; voglio fare teatro. Matteo risponde: "Questo è già teatro". 

Gli applausi scroscianti e liberatori sono durati a lungo; ancora li sento che danno ritmo al mio vivere quotidiano e ne daranno finché durerà la mia memoria affettiva.
Karsaf 11/06/2012


Appendice
Jerzy Grotowky scrive: "Nel nostro teatro formare un attore non vuol dire insegnargli qualcosa; noi cerchiamo di eliminare le resistenze del suo organismo al suddetto processo psichico ("trance") . Il risultato è l’annullamento dell’intervallo tra gli impulsi interiori e le reazioni esteriori in modo tale che l’impulso sia già una reazione esterna. Impulso e azione sono contemporanei: il corpo svanisce, brucia e lo spettatore non vede che una serie d’impulsi visibili." (Per un teatro povero - 1965)

Nel caso di Zoe il processo è inverso ovvero è dall'azione esteriore che lo spettatore risale all'impulso interiore e ri-conosce l'attore; ma il risultato è lo stesso: “l’annullamento dell’intervallo tra impulsi interiori e reazioni esteriori.” (In questo è stata eccellente la regia di Tiziana Scrocca). 
L’educazione non è rivolta solo all’attore, come scrive Grotowsky, ma anche allo spettatore che attraverso l’azione scenica ri-conosce l’origine ovvero l'autenticità dell’attore che agisce. Il riconoscimento dell'attrice Zoe, genera nello spettatore la catarsi ovvero la purificazione della relazione affettiva con Zoe. In conclusione, il risultato educativo è:  "la ri-nascita di Zoe e dello spett-attore attraverso la ri-scoperta del “vero” rapporto affettivo che li unisce nell’unicum famigliare. 

Citazioni


Silvio D'Amico, Storia del teatro. (wikipedia)

 Il Teatro vuole l'attore vivo, e che parla e che agisce scaldandosi al fiato del pubblico; vuole lo spettacolo senza la quarta parete, che ogni volta rinasce, rivive o rimuore fortificato dal consenso, o combattuto dalla ostilità, degli uditori partecipi, e in qualche modo collaboratori. » 

René Girard - "Menzogna romantica e verità romanzesca". (Ed.  Tascabili Bompiani - 2009) 

A livello inferiore della creazione letteraria, l'immagine è un semplice ornamento che lo scrittore può sopprimere o sostituire a suo piacimento. Marcel Proust si priva di questa libertà. Il romanziere non è un realista dell'oggetto ma un realista del desiderio. Le immagini devono "trasfigurare" l'oggetto. Non devono trasfigurare in un modo qualunque ma nel modo particolare all'adolescente borghese che "cristallizza" prendendo le mosse dai dati scolastici e libreschi. Nelle immagini mitologiche si congiungono e si fondono meravigliosamente il desiderio nascente del liceale, che sognava l'alta società (...), l'infanzia malaticcia e protetta del narratore e persino l'arredamento della sala. I puristi non riescono a capire entro quali limiti ristretti si eserciti la scelta dello scrittore. 
(...) Non appena Marcel (Zoe) posa lo sguardo "fisso e doloroso" su un essere qualsiasi (o il suo feticcio), vediamo scavarsi tra questo essere e lui, l'abisso della trascendenza.
(...) Ciò che viene rivissuto, nel contatto con una reliquia del passato, è la qualità trascendente del desiderio di un tempo. Il ricordo non è più avvelenato, come lo era il desiderio, dal desiderio rivale. "ogni persona che ci fa soffrire può essere da noi ricondotta a una divinità di cui è solo un riflesso frammentario... divinità (Idea) la cui contemplazione ci dà subito gioia in cambio della sofferenza che avevamo."
La memoria affettiva ritrova lo slancio verso il sacro e tale slancio è puro godimento poiché non è più infranto dal mediatore (del desiderio). (...) La memoria dissocia gli elementi contraddittori del desiderio. Il sacro emana il suo profumo (Zoe odora e accarezza i feticci) mentre l'intelligenza attenta e staccata (del ricordo) può ora riconoscere l'ostacolo nel quale urtava; comprende la funzione del mediatore e ci svela il meccanismo infernale del desiderio.
La memoria affettiva reca dunque in sè la condanna del desiderio originale. (...) L'estasi del ricordo e la condanna del desiderio si implicano vicendevolmente come la lunghezza e la larghezza o il rovescio e il diritto.
La memoria affettiva è il Giudizio universale dell'esistenza proustiana. Essa separa il grano dal loglio, ma il loglio deve figurare nel romanzo perché il romanzo è il passato. La memori affettiva ... è fonte di verità e fonte di sacro; ...essa svela la funzione divina e demoniaca del mediatore (del desiderio). Non bisogna limitarne gli effetti ai ricordi più antichi e più felici. Mai il vivo ricordo è più necessario che nei periodi di angoscia, perchè dissipa la nebbia dell'odio. La memoria affettiva è in gioco in tutta la successione temporale. Chiarisce altrettanto bene l'inferno (...) quanto il paradiso (...).
La memoria è la salvezza dello scrittore e di Marcel Proust uomo. (...) Il nostro romanticismo tollera la salvezza soltanto se immaginaria; tollera la verità soltanto se disperante. La memoria affettiva è estasi, ma è anche conoscenza. Se trasfigurasse l'oggetto ... il romanzo ci descriverebbe non tanto l'illusione vissuta al momento del desiderio, ma una nuova illusione, frutto di questa nuova trasfigurazione. Non vi sarebbe realismo del desiderio.


Romano Guardini - Il Signore - (Vita e Pensiero - Morcelliana)

Nel bambino la vita comincia a nuovo; In contrasto con colui che già esiste ed è insediato. Essa sovverte le valutazioni contro di lui. Così nell'adulto vive, al di sotto di tutta la tenerezza umana, un segreto risentimento, spesso inconscio, contro il bambino. 
Il bambino è inerme. Non può proteggersi dagli adulti. Non riesce a resistere contro l'influenza proveniente dall'abilità, dall'esperienza dal pensiero maturamente riflesso dagli adulti. ... Il bambino non sa tutelarsi da ciò. Gesù dice: State in guardia! Là dove voi vedete solo l'essere debole, v'è un mistero divino, delicato e sacro. Chi lo tocca fa qualcosa di tanto terribile che per lui sarebbe meglio fosse stato reso in precedenza inoffensivo, come un animale pericoloso. (...)
E ora Cristo dice: Se tu volessi attentare a quel "sacro" in un bambino - guardatene! Dietro il fanciullo sta l'angelo, ed egli contempla Dio. Dietro il bambino, Dio è manifesto. Quando ti avvicini troppo a lui, tu violi qualcosa che conduce direttamente nel segreto di Dio. ... Certo egli tace. Sembra che non avvenga nulla. Ma un giorno tu ti renderai conto di ciò che in verità avvenne quando egli diventò tuo avversario. Qui apparirà chiara la santa dignità dell'indifeso.
L'adulto ha scopi, cerca i mezzi per raggiungerli e li usa. (...) Ha intenzioni. Il bambino invece non ha "intenzioni". Tuttavia esageriamo; naturalmente anche egli ha intenzioni; vuole questo e quello. Ha anche paura. Ha in genere tutto quello che ha l'adulto, perchè divenire adulti è cosa che ha inizio, in verità, già dal primo respiro. (...)
L'educazione consiste in buona parte non nell'essere amabili, comprensivi, disinteressati, ma nel dissimulare i propri sentimenti: così, parole e comportamenti dell'adulto contengono molto di inautentico e di sleale. Per contro il bambino è semplice e sincero. (...) Egli non avverte ancora gli ostacoli che rendono difficile alla persona adulta l'essere veritiera.

Jerzy Grotowky – Per un teatro povero (articolo del 1965)

Da noi tutto è concentrato sulla “maturazione” dell’attore che è espressa da una tensione verso l’assoluto, da una denudazione completa, dall’estrinsecazione degli strati più intimi del proprio essere e tutto questo senza la benché minima traccia di egoismo o di auto-compiacimento. L’attore fa dono totale di sé. Questa è la tecnica della “trance” e dell’integrazione delle energie psichiche e fisiche dell’attore che, emergendo dagli strati più intimi del suo essere e del suo istinto scaturiscono in una specie di “transluminazione”.

Nel nostro teatro formare un attore non vuol dire insegnargli qualcosa; noi cerchiamo di eliminare le resistenze del suo organismo al suddetto processo psichico. Il risultato è l’annullamento dell’intervallo tra gli impulsi interiori e le reazioni esteriori in modo tale che l’impulso sia già una reazione esterna. Impulso e azione sono contemporanei: il corpo svanisce, brucia e lo spettatore non vede che una serie d’impulsi visibili.